giovedì 4 ottobre 2007

Monitoraggio di “Informazione Corretta": L. Il diritto di Israele ad esistere.

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Il diritto all’esistenza ovvero il diritto di Israele ad esistere è introdotto nella discussione e nel dibattito con la stessa delicatezza con cui si maneggiano gli arsenali nucleari, che in effetti l'»entità« Israele possiede e la cui consistenza pare sia più avanzata di quanto dispongono Gran Bretagna e Francia. Israele in fatto di armamento nucleare è forse sullo stesso piano di USA e URSS. Ma è un argomento tabù sul quale sembra vi sia una convenzione universalmente rispettata a non toccare mai l’argomento. E non sono del resto uno specialista che possa trattare con competenza questi temi. Ma vi è un’altra bomba atomica connessa al tema del diritto all'esistenza introdotto nei momenti caldi della discussione. E se uno dicesse che Israele, stato marcatamente “ebraico” e fondamentalmente razzista ancor più di quanto non lo fosse il Sud Africa, non ha diritto di esistere, cosa ne viene fuori? La bomba atomica qui adoperata come deterrente è il cosiddetto «Olocausto», un arsenale ideologico di Stato accuratamente oleato (olio caustico) ed esportato ovunque nel mondo a cura del governo israeliano, che si avvale di un'infinità di agenti: piazze monumentali, musei, giornate della memoria, films di propaganda, libri pseudoscentifici protetti da leggi liberticide che imprigionano gli autori di testi confutativi, testimonianze melense di improbabili “sopravvissuti” o almeno figli di sopravvissuti, manifestazioni con cartelli, messe alla gogna di criminali novantenni e quasi centenari, ecc.

Se appena si è critici verso l’asserito diritto all’esistenza dello Stato di Israele si evoca immediatamente l’«Olocausto» e si fa intendere che si vuole mandare gli ebrei insediati in Israele e nei territori occupati direttamente nelle camere a gas, secondo quanto si imputa ai tedeschi nella seconda guerra mondiale, durante la quale lo Stato di Israele peraltro non esisteva affatto, anche se è riuscito a farsi pagare dalla Germania “riparazioni di guerra”, secondo un'abitudine consolidata che per la Germania risale alla prima guerra mondiale. Con questo forte impatto emotivo associato all’implicita accusa di antisemitismo è in pratica ridotta al silenzio qualsiasi voce critica. Ma a ben vedere considerando gli svolgimenti essenziali dell’insediamento ebraico in Palestina nel quadro della dissoluzione dell'impero ottomano e nel contesto degli eventi della seconda guerra mondiale, passando per le innumerevoli guerre arabo-israeliane fino ai giorni nostri, sarebbe come se un gruppo armato si fosse insediato nella nostra abitazione e armi in pugno invocasse il suo diritto ad abitare.

Orbene, non vi è alcun dubbio che ogni essere vivente per il solo fatto di esistere abbia diritto ad esistere: è un dato grezzo di natura. Il problema è di valutare quando e se un simile diritto possa confliggere con eguali o altri diritti. Per caso il diritto di Israele ad esistere significa il non diritto ad esistere per i palestinesi cacciati dagli stessi israeliani dai territori in cui da tempo immemorabile abitavano ed al cui posto si sono insediati gli ebrei, “sopravvissuti” o figli e nipoti di sopravvissuti? E se è così, come di fatto è, si può decentemente sostenere una simile pretesa? Ed in base a quale diritto? In realtà, andrebbe qui introdotta una distinzione filosofico-giuridica che almeno in questo caso rivela la sua fondatezza ed efficacia ermeneutica: la distinzione fra legittimità e legalità, che io qui cerco di semplificare al massimo. Israele è uno stato legalmente riconosciuto dall’Italia, dagli USA e da numerosi altri Stati con la notevole eccezione degli Stati arabi uniti in una Lega che ne comprende 22. Riconoscere piena legalità ad una realtà statuale effettiva è nella piena facoltà di ogni Stato che può avere necessità o utilità ad intrattenere rapporti commerciali, politici, culturali ecc. con quella determinata entità capace di esistenza. La legittimità è però altra cosa, di cui gli Stati in quanto tale poco si curano. Anzi per l'orientamento di pensiero positivistico la legittimità neppure esiste. Tutto ciò che può essere giuridicamente apprezzabile esiste solo in quanto menzionato in carte scritte con firme e timbri, ossia in leggi, trattati internazionali, contratti privati e simili. Gli stessi “diritti umani” che costituiscono il piatto forte dell'ideologia polemica dei nostri tempi hanno poco pregnanza se non sono tradotti in carte scritte e fatti valere contro qualcuno cui si imputa di averli violati.

Mi trovavo in una manifestazione italica della Israel Lobby, organizzata in un ritrovo di via Ostiense per presentare il libro non dei due professori americanu Mearsheimer e Walt, ma del giovane Ottolenghi che aveva dato alle stampe un suo libello dove sosteneva le sacrosante ragioni di Israele. Erano stati invitati fra altri due pezzi grossi della politica, Antonio Polito e Gianfranco Fini, l'uno per la maggioranza di governo e l'altro per l'opposizione, magnifico esempio di trasversalità della Lobby. Non racconto ora come io ero capitato in mezzo a così eccelsa compagnia, ché sarebbe cosa lunga e diversiva. Mi limito a riportare il quesito da me posto che turbò lo svolgimento ulteriore della celebrazione. Fatta una distinzione didattica fra il concetto di legalità e di legittimità, chiesi ai presenti (quasi tutti della comunità ebraica romana) se toccasse riconoscere la legittimità di Israele ai convenuti nella sala di via Ostiense, patrocinati dai due importanti politici, o agli arabi dirimpettai di Israele in Medioriente? Della serata esiste una registrazione nell'archivio di radio radicale, con il mio intervento di circa 4 minuti, di cui darò il link. Nessuno fu all'altezza della domanda e nessuno si mostrò capace di una risposta. Dal pubblico non avevo diritto di replica e conservo un’impressione penosa dei relatori e del loro pubblico: ecco un esempio di Israel lobby in Italia!

Volendo chiudere rapidamente questa riflessione sull'argomento forte della lobby: il diritto all'esistenza, dico che a mio avviso un simile diritto non esiste sul piano della legittimità ma solo su quello della legalità del fatto compiuto, allo stesso modo in cui in altri tempi e con altri costumi si stuprava una giovane e si faceva seguire allo stupro il matrimonio riparatore, con soddisfazione delle parti e fatta forse eccezione della vittima stuprata. Al problema dell'esistenza si tratta di trovare una soluzione sulla base del fatto compiuto, non di un'inesistenza diritto e senza neppure nominare la Giustizia relegata in qualche oscuro anfratto, dove piange a dirotto. La Giustizia è qui meglio lasciarla da parte: non c’entra per nulla ed è totalmente impotente.

Posto che gli arabi non hanno la forza fisica materiale di gettare a mare i loro invasori, devono purtroppo convivere con essi, a meno che non vogliono loro esporsi a qualche soluzione “olocaustica”, dove la vittima sacrificale in senso teologicamente proprio sarebbero loro stessi. I fedeli sudditi di Javeh offrirebbero in Olocausto nucleare gli odierni arabi palestinesi o musulmani a somiglianza del corrotto popolo di Sodoma e Gomorra, come già i testi biblici insegnano e raccomandano. Essendo Israele uno stato “ebraico” – come i due autori americani evidenziano, richiamando per giunta l'importante apporto politico-teologico del “cristiani sionisti” – e per nulla “democratico”, secondo quanto vanno cianciando coloro che ravvisano il concetto di democrazia in un insieme di procedure formali, è altamente probabile il completamento di un genocidio già in atto e soprattutto una conflagrazione atomica in tutta l’area mediorientale. In altri termini, il pericolo non è il terrorismo o il fondamentalismo, ma lo stesso Israele, dal momento in cui è stato “fondato" nel 1948 e guarda caso fino ad oggi, come dimostra una guerra ininterrotta di oltre 60 anni che non credo abbia eguale nella storia.

Come venirne fuori? Il pasticcio lo ha fatto l’ONU. Lo risolva! Smantelli lo Stato “ebraico" e sotto la sua diretta sovranità costituisca uno stato franco dove possano vivere in pace con eguali diritti proprio tutti: ebrei, palestinesi, indiani d’America, immigrati di ogni genere, esuli di tutti gli altri stati dove non sono garantiti i “diritti umani”. Chiaramente si intende nei limiti delle compatibilità economiche e delle risorse che la nuova patria potrebbe offrire ad ognuno. Non vi sarebbe nulla di male se l’ONU anziché mandare caschi blu, mandasse una volta gli amministratori che servono al momento della fondazione del nuovo stato e fino a quando esso non sia capace di esprimere direttamente i suoi governanti multietnici. I palestinesi con la loro bomba demografica potrebbero presto riappropriarsi della terra loro tolta con la violenza, vivendo in pace con i loro violentatori e con altre genti immigrate, dando vita ad una civiltà esemplare quale si è vista in altri momenti della storia, in cui hanno mirabilmente convissuto cristiani, arabi, ebrei ed oggi potremmo dire anche atei dichiarati, piacendo all'ateo devoto Giuliano Ferrara. Sono certo che a non volere una simile soluzione sono gli stessi ebrei dello Stato di Israele. Ed è quello che cercheremo di documentare attingendo al ricco archivio dei Corretti Informatori ed ai loro faziosissimi commenti.

1. L’atomica dei poveri: la bomba demografica. –



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1. L’atomica dei poveri: la bomba demografica. L'articolo del mio semiomonimo Lucio Caracciolo ha toccato il problema, che ha subito rivelato l'ostilità dei rappresentanti italiani della Israel Lobby ad ogni soluzione pacifica di un problema intricato. Per loro i palestinesi devono o morire il più presto possibile e togliere naturalmente il disturbo oppure sloggiare dalle terre che furono loro e chiedere ospitalità come profughi nelle terre degli Stati limitrofi, fino a quando magari non saranno cacciati nuovamente in un folle delirio di onnipotenza nucleare che vuole dominare e colonizzare tutto il Medioriente fino alle frontiere dell’India. Questo folle disegno non è del tutto irrealistico se - come Mearsheimar e Walt, nel loro vituperato libro La Israel lobby e la politica estera americana, hanno dimostrato - gli ebrei di Israele possono disporre a piacimento della superpotenza militare degli Usa, la cui decrepita decrepita democrazia consente ad una potente lobby di non più del 3 per cento di poter prevalere sul 97 per cento, tenendolo in scacco.

2. “Arabo” e/0 “terrorista”. – Il solito ritornello: i soldati israeliani sparano e uccidono solo a ragion veduta. Essi sono i soldati più etici del mondo. Buffonate a cui nessuna persona di buon senso e animato da spirito di indipendenza è disposto a credere per un solo istante. La questione ritorna sul punto essenziale: i coloni del XXI secolo hanno diritto di occupare terre altrui, scacciando le popolazioni native? Possono ripetere nel XX e XXI secolo ciò che i coloni americani hanno fatto con gli indiani d’America nel XVIII e XIX secolo? Gli uffici di propaganda bellica possono preparare tutte le veline che vogliono, ma si scontrano contro un elementare buon senso che chiaramente non è da solo sufficiente a far trionfare le ragioni del diritto e della giustizia. Serve però a non compromettere il proprio senso di dirittura morale: i prepotenti assai spesso prevalgono contro i deboli, i quali possono solo illudersi coltivando la speranza di una giustizia ultraterrena.

xxx La casa negata. – Uno dei “topoi” più frequenti della propaganda israeliana è il “diritto all’esistenza di Israele”. È un’espressione curiosa ed ambigua quanto mai. Curiosa perché ciò che esiste semplicemte esiste: è un dato di fatto, non un diritto. Èsiste ciò che è, non ciò che non è. Parlare di un diritto ad esistere di cui sia titolare un soggetto inesistente è un’assurdità da manicomio. In realtà si intende altro. Si intende un riconoscimento di piena legittimità di uno status di fatto fondato su violazione di diritti altrui. La Nakba è in un certo senso il corrispettivo dell’«Olocausto». Nel 1948 750.000 palestinesi furono scacciati dalle loro case e dai loro villaggi per non farvi più ritorno. Poco importa che se ne siano andati – come sostengono gli storici di regime – per timore della guerra in atto o per qualsiasi altro motivo. Quelli erano i loro villaggi e le loro case e per nessun motivo potrebbero essere privati del loro diritto. Il diritto all’esistenza di Israele è in pratica il diritto all’annientamente del popolo palestinese: è un diritto inammissibile da parte di una comunità internazionale che pretenda di essere regolata sul principio dei diritti umani.

(segue)

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